venerdì 2 gennaio 2015

RACCONTO APPARENTEMENTE IMMAGINARIO

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO VOLENTIERI DA BARBARA D.

L’amico degli alberi

Farsa in più atti
Scena I
Un salottino privato, adiacente alla sala del trono
Il sovranocon forte accento napoletano, accostandosi appena al pesante tendaggio della finestra, e poi allontanandosi di scatto dalla medesima.
Ma che vuole tutta chella ggente là, ma pecché strillano accussì. Ciambellano, dicitemi nu poco, ce l’hanno cummé?

Ciambellanocercando di tranquillizzarlo, in perfetto toscano
Sì e no, maestà, vedete, si risentono perché gli affari non vanno, e gli scavi che state facendo in cerca di tesori sotterranei, proprio a ridosso delle feste natalizie, non migliorano le cose. Dicono che se volete scavare, sarebbe meglio che ve ne andaste in aperta campagna, là per lo meno potreste trovare un poco d’acqua, visto che in città pure quella comincia a scarseggiare.
Il sovrano – Hiii, che esaggerazione. Ma vedete nu poco quanto si agita chilla femmina bionda là, si sta avvicinando alla porta. Mamma mia che paura. Meno male che mmò la guardia l’ha ricacciata inditro. Strilla, si straccia le vesti, c’ha certi occhi che sembra uscita dall’inferno. L’acqua dite, eh. Ebbene, se vogliono l’acqua facitela calà nu poco d’acqua abascio, e vedimme si se danno una calmata tutti quanti. Maronna mia, ma ch’avimmo a fà, la rivoluzione. Chiamate il capoguardie, che voglio darli una rinfrescata a tutti quanti stanno, sti masanielli inviperiti.

Ciambellano – Ma maestà, fuori fa freddo, la temperatura sta scendendo sotto lo zero e tra poco sarà notte.

Il sovrano – Nun me e fotte un fico, vogliono l’acqua, e l’acqua avranno. Facit’ampresso ciambellà, che mi voglio godere lo spettacolo, ca ggià mi sto noiando.
Ciambellano – Come volete maestà, agli ordini.
(Esce. Torna dopo pochi istanti, accompagnato dal capoguardia)

Capoguardie– Agli ordini maestà

Il sovrano(visibilmente annoiato, sdraiato su una poltrona, gioca con le frange. Parla senza guardare in viso il capoguardie, tra uno sbadiglio e l’altro)
Brigadie la sentite tutta sta gente inferocita qua abbascio? Dicono che non hanno acqua? Arrovesciategli in testa una bella pentolata, ma che sia bella fresca e non ne parliamo più che qua mi so scassato u’cazzo de sta gazzarra tutti i santi ggiorni. Tra un poco arriveranno i compratori cinesi, e vedete un poco se è il modo di accoglierli, con la piazza del palazzo piena di facinorosi che nemmeno le cinque giornate di Milano. E mica ci stanno gli Austriaci qua, no?

Capoguardie – Sarà fatto, Maestà (esce).
Pochi minuti dopo si ode un grande scroscio, poi si avvertono grida, pianti di bambini, donne che urlano, uomini che imprecano.
Il sovrano – Cosa fanno, se ne vanno? (Rivolto al ciambellano, che si alza sulle punte di piedi per vedere meglio)
Ciambellano – Sì, stanno lasciando libera la piazza. Le guardie cacciano gli ultimi, che si attardano, un bambino piange, perché ha perduto la mamma.
Il sovrano _ Facimm’anpresso che i cinesi stanno arrivando.
(ESCONO)

Scena II
La sala del trono

Il compratore, accanto l’interprete, il re sotto al baldacchino.
Il sovrano, rivolto al ciambellano, in piedi accanto allo scranno regale. Si china verso di lui e la corona gli scivola su un orecchio: Che ve ne pare ciambellano, l’offerta non è male, in fondo si tratta di una catapecchia infestata dai topi. Vogliono farci un mega albergo che porterà tanti stranieri e tanti soldi in città. (Rivolto all’interprete) Dite che l’offerta è allettante e che ci consulteremo coi saggi.
A un tavolo vicino, sommersi di scartoffie, i saggi sono al lavoro per valutare l’offerta.
Hanno squadernato sul tavolo antiche mappe della città, le confrontano fra loro lisciandosi le barbe. Sono barbe talmente lunghe che passano da un lato all’altro del tavolo. Sotto al tavolo un buffone si diverte ad intrecciare insieme le barbe dei tre saggi.
Il sovrano – Rivolto ai saggi : Allora, che vi pago a fare se non siete capaci di fare sta perizia entro un tempo ragionevole. Il nostro ospite sta qui e aspetta una risposta. Domani deve ripartire, c’ha il business che lo aspetta, e sapete che il tempo è denaro.
Uno dei saggi abbozza timidamente un’obiezione_ Vedete maestà, va tutto bene, certo, soldi per la città, un mare di soldi, a parte per quei poveretti che nell’Albergo di santa maria degli Angeli ci abitano da anni. Il fatto è, vedete, che se confrontiamo queste vecchie carte con lo stato attuale, vediamo che proprio nel punto in cui volete effettuare quest’altro scavo , l’ennesimo, perché a questi punti la città, con rispetto parlando, assomiglia a un groviera, ebbé, Maestà, qui un piccolo problemino ci sarebbe, perchè qui scorre l’antico letto del fiume, già interrato e già deviato tre, quattro volte.
Il Sovrano (lanciando uno sguardo da basilisco all’interprete, che già stava inclinando la testa verso l’acquirente): Guagliò chisto nun c’è bisogno che lo traducete; si tratta di fatti nostri e Chun Jang o come si chiama lui nun c’azzecca niente. Poi rivolto al saggio: Vabbé ma che significa, corso o non corso, letto o non letto. Chisto d’u buco è n’antro pajo di maniche. L’importante è che s’accattano l’Albergo con tutta la fetenzia drinto. Poi lo scavo lo faranno da n’antra parte. Addò sta scritto che l’hanno a fare proprio llà?
Rivolto a Chun Jang, che sta già tirando fuori dei sacchetti pieni zeppi d’oro:
Allora, carissimo, per quanto riguarda l’Albergo è affare fatto. Solo per lo scavo dovrete aspettare nu poco, avere ancora nu poco di pazienza perché ci sarebbero delle quisquiglie da sistemare, sapete, questa nun è Honk Hong, purtroppo, è una città antica, magari ci fossero tutte strade diritte e ad angolo retto come a Tokio o Shangai, qui a ogni passo si trova un reperto, come li chiamano loro. Per quanto rigarda lo scavo sotto al Duomo, però, non ci stanno problemi. Si alza in piedi e per poco, nella foga, non inciampa nel manto regale, evidentemente troppo lungo: Si avvicina alla finestra, e parla tra sé, come se avesse dimenticato il compratore – Tutta sta bbellezza mi opprime, mi mette sapete una malinconia. Qui tutti gli anni i turisti arrivano a frotte, si riempiono gli occhi di bellezza, ma le nostre casse, tesorie, diciticello vuj, le nostre casse stanno vuote, vuote da fare tristezza. E come li mando i bambini all’asilo, con quali soldi, e me, lo dicete, coi soldi della bellezza. A proposito, ciambellà, c’avevamo un altro appuntamento. Non dovevano venire anche per quell’altra faccenduola, sì , come si chiama lei, per la Venere del Botticelli:
Ciambellano – con fare preoccupato, rivolto al compratore cinese che è rimasto interdetto, il volto quasi coperto dai sacchetti di monete d’oro che invadono ormai il tavolo:
Non ci badate e date qua. Affare fatto, allora, vi manderemo più tardi all’albergo il regolare contratto datato e sottoscritto da sua maestà, sapete, è un brtto momento, i sudditi gli danno tante preoccupazioni, non sono mai contenti. Ma con questi almeno una parte dei problemi, sono risolti. Almeno per un po’. (Fa cenno al tesoriere di avvicinarsi e di chiudere i denari in cassaforte)
(Via il compratore, seguito dall’interprete. Quando scende dalla sedia si vede che è un ometto minuscolo, anche se riccamente vestito all’occidentale).

Scena III
Si ode bussare prima dalla porta ovest, poi da quella est,
Ciambellano Con aria sempre più preoccupata: Maestà, da questa parte ci stanno gli archeologi, da quell’altra i signori per la Venere. A chi devo aprire.
Il sovrano (Che nel frattempo è riuscito, sbuffando e imprecando, a issarsi nuovamente sul trono) E facite trasire quei rompibballe degli archeologi.Potessero schiattà tutti come topi di fogna.
Primo Archeologo (inchinandosi ai piedi del trono): Ecco Maestà, vedete, il problema è questo. Sotto il duomo, e con la mano fa un cenno all’altro di porgergli certe carte, ma proprio sotto, ci sono i resti di santa Reparata, e poco più sotto ci sarebbe la parte romana, di inestimabile valore, e sotto ancora c’è la città etrusca. Voi capite che se la galleria dovesse passare da lì, ma proprio da lì, il danno per i posteri sarebbe enorme, irreparabile.... Direi che sarebbe un sacrilegio nei confronti della scienza, per non parlare della civiltà. E voi, collega illustrissimo –
(rivolto alla propria destra , gli fa cenno di avvicinarsi anche lui al trono. Il vecchietto invece stava avvicinandosi quatto quatto alla porta d’uscita, ed è costretto a fare dietro- front. Cammina tenendo gli occhi fissi sul sovrano che, sempre più nervoso, fatica a tenere dritta la corona).
Secondo Archeologo (molto più anziano, ma anche men intimorito del primo. Barba bianca, occhialini tondi, voce ferma di basso): Sì, Maestà, è così, la galleria – a meno che non si faccia un’ampia deviazione, arrecherebbe danni irreparabili nella delicatissima stratigrafia della Firenze sotterranea, e poi .......
Il sovrano – mo mi avete stufato con tutti o vostri dubbi e ripensamenti. Vabbé ho capito, ma dei vostri cocci me ne fotto, con rispetto parlando, una bella minchia. Basta, basta, basta con tutto sto vecchiume (Scivola giù dal trono, questa volta speditamente)Ma guardateli tutti sti tetti a punta, ste case torri che sembrano dover venire giù da un momento all’altro e che invece stanno sempre lì, belle, in piedi da un secolo all’altro, mentre quelli che le hanno abitate nel fiore degli anni, e i figli di quelli già sotto terra si disfano in polvere. Sei cenere e cenere ritornerai; se queste parole potessero valere anche per la superbia di questa città. E invece no, il sangue caldo degli uomini vi scorre attraverso, inaridisce, sangue nuovo si aggiunge, uomini nascono, sfioriscono, si dissolvono in nulla, ma lei sempre lì, non si muove di un millimetro, con le sue pietre fredde e indifferenti, la sua bellezza sfacciata che è un insulto alla nostra caducità.
Secondo Archeologo (ha udito il soliloquio del sovrano, e ora lo guarda con aria interrogativa, poi, reclinando il capo): Ma voi amate la città, sire?
Il sovrano: sia detto in confidenza, no. La detesto, la odio. Vorrei vederla in ginocchio, umiliata, ridotta come le tante città del sud, la cui bellezza è stata cancellata dal tacco sprezzante dello straniero, sconciata dall’invasore, lordata da....
Secondo Archeologo: Direi che allora state raggiungendo lo scopo (Esce)
Il sovrano : Come osi..... ma s’interrompe, si rammenta degli altri che stanno attendendo.
Ciambellano fate antrare.
(Esce l’archeologo. Fuori anche i saggi, le cui barbe sono state intrecciate dal buffone, escono dalla porta di sinistra, mentre da destra entra una delegazione di tre uomini in frac nero, che assomigliano vagamente a tre becchini. Il sovrano ha sulle prime un moto di spavento)
Parlano a turno:
Allora
Maestà
Se tutto è pronto
Noi saremmo qui
Per prendere in consegna il quadro
Il sovrano: certo certo. Ciambellano, fate portare la fanciulla.
Ciambellano: La fanciulla sire?
Il sovrano: Massì, chilla là, Maruzzella, cosa là, la Venere.
Ciambellano: Venite avanti.
Entrano tre inservienti che sorreggono a fatica una tela gigantesca.
Ecco, appoggiatela là, sulla parete di fronte.
Il Ciambellano si avvicina alla tela e la scopre. E’ la Venere del Botticelli. Immediatamente una luce azzurrina si diffonde nella stanza, fino a quel momento sommersa dalle tenebre. I tre uomini in frac stanno dinanzi al quadro in silenzio, il capo scoperto in segno di devota ammirazione. Solo il re sembra indifferente. Si è fatto aprire la cassaforte dal tesoriere ed è tutto intento a contare il denaro. Il buffone lo osserva, facendo mille smorfie e tentando invano di attirare la sua attenzione. Ma nulla riesce a distoglierlo dalla sua occupazione. A un certo punto si sente un gran tintinnio. Tutto comincia a tremare. Mobili e suppellettili si spostano a destra e a sinistra come sulla plancia di una nave in preda a una tempesta.
Ciambellano – Cosa succede. Mi sembra di aver il maldimare.
Il sovrano: Il maldimare sulla terra ferma? (E intanto deve reggersi con la mano la corona, che gli è scivolata pericolosamente su un orecchio).
Il buffone (nascostosi sotto il tavolo) Terra ferma, ma quale terra ferma, se tutto sta tremando.
Intanto i tre uomini in frac si precipitano sul dipinto, che è caduto a terra ed è scivolato al centro della stanza. Proprio in quel momento si ode un sibilo, e il grande lampadario di cristallo precipita a terra, al centro della tela, sfondandola irreparabilmente. Tutti si mettono le mani nei capelli.

Cala il sipario

ATTO II
Siamo a casa del secondo Archeologo. ….

IL FINALE PROVATE AD IMMAGINARLO O A SCRIVERLO VOI LETTORI.